Revisione del catasto: un aggiornamento di cui non sentivamo il bisogno
È notizia degli ultimi tempi quella relativa alla revisione del catasto: lo scorso 5 ottobre, il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato la revisione del sistema fiscale che, all’articolo 7, impegna il Governo ad attuare un’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale (da rendere disponibile a partire dal 1 gennaio 2026), con lo scopo di realizzare una vera e propria riforma. L’obiettivo? La costituzione di un sistema catastale basato – oltre che su una rendita parametrata ai valori di mercato – sul valore patrimoniale del bene, con un conseguente adeguamento periodico dei valori.
In questo modo, il Governo non ha fatto altro che esplicitare il preciso motivo della suddetta revisione: predisporre un ulteriore aumento della già sproporzionata tassazione sugli immobili.
Anche Confedilizia – nella voce del suo presidente Giorgio Spaziani Testa – è intervenuta su questo tema. Secondo Testa, in un’intervista rilasciata a La Stampa, “la revisione è coerente con le raccomandazioni della Commissione europea che chiedono all’Italia di ‘compensare’ la riduzione della tassazione sul lavoro con ‘una riforma dei valori catastali’. Il testo presentato conferma questo obiettivo, attraverso un’impostazione fortemente patrimoniale. Di fronte a tutto ciò, il giudizio dell’associazione della proprietà edilizia non può che essere estremamente negativo. La situazione, poi, è diversa da città a città: qualsiasi discorso sulle risultanze catastali – legate al valore o al reddito che siano – non può prescindere dall’utilizzo che di quei dati vuole farsi. E, poiché l’utilizzo è prettamente fiscale, la cosa da dire forte e chiara è che la priorità non è riformare il catasto, né rivedere gli estimi.”
Mi trovo personalmente d’accordo con questo punto di vista. Stiamo andando incontro a una riforma del catasto che tutto è meno che equa. Il fatto di fare una riforma catastale è giusto e condivisibile, ma non in questo modo, non in maniera così trasversale. Occorre tenere presente che, sul territorio del nostro Paese, ci sono immobili considerati veri e propri “fantasmi” (per la maggior parte concentrati nel Centro e Sud Italia) su cui l’IMU non viene pagata. L’aggiornamento catastale di cui tanto si sta parlando nell’ultimo periodo, allora, andrebbe fatto esclusivamente per questa tipologia di immobili, e non su quelli che – al contrario – generano valore per l’intero mercato. Il rischio concreto nella “generalizzazione” di una riforma di questo tipo è quello di dare un duro colpo al mercato immobiliare che, ricordiamo, fino a qualche mese fa presentava segno positivo, mentre negli ultimi 3-4 mesi ha subito il contraccolpo dato da un forte calo delle vendite. Occorre stanare gli immobili fantasma e tutti gli altri non congrui con i valori di mercato attualmente in auge nel nostro Paese.
Quella redatta dal Governo è quindi una norma estremamente vaga e generica, che lascerebbe all’Agenzia delle entrate, visto che il meccanismo è quello della delega, mano libera per intervenire in qualsiasi direzione possibile.
Tecnicamente, i tasselli del piano di revisione catastale previsto per il 2026 sono due: il primo prevede l’individuazione di strumenti da porre a disposizione di comuni e Agenzia delle entrate per velocizzare l’individuazione degli immobili non censiti, abusivi, o che non rispettano la relativa destinazione d’uso (ovvero la categoria catastale). E fin qui, ovviamente, nulla da ridire.
Alla prima fase del lavoro di revisione, la Legge delega in materia fiscale prevede però anche un’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati, da rendere disponibile – appunto – dal primo gennaio 2026. Ed è questo l’aspetto più contestato della riforma, che come detto porterebbe di certo a un importante aumento delle tasse sulla casa. L’obiettivo – dichiarato dallo stesso premier Draghi – dovrebbe essere quello di avere un quadro aggiornato del patrimonio immobiliare, al fine di contrastare irregolarità e abusi. Quindi, in conclusione: riforma sì. Trasversalmente no.
Fonti utilizzate per la stesura di questo articolo: La Stampa, Economy Magazine, Informazione Fiscale.